20 marzo 2014

Interstate 93

Sono su un coach, partito da Boston da circa mezz'ora in direzione New London, dove starò da un amico per un paio di giorni prima di tornare a scuola. Ho le cuffie nelle orecchie e On the Road di Kerouac aperto in grembo. Il mio vicino - uno studente in jeans e camicia, che probabilmente sta andando a visitare la sua famiglia - dorme, con la testa reclinata verso il corridoio; il resto del bus fa altrettanto, con l'eccezione del ticchettio della tastiera di un laptop.

Sono perso nel libro, ma a un certo punto qualcosa mi fa alzare lo sguardo, verso il finestrino. La Highway si srotola di fianco a me, le strisce gialli lampeggiano alternandosi al cemento cotto dal sole, i cartelli verdebianchi mi corrono incontro e poi scompaiono veloci come sono arrivati. La campagna scorre uniforme, brulla e punteggiata di sempreverdi, semicoperta di neve e cespugli secchi.

E all'improvviso arriva. Una consapevolezza, un nonsochè di incredibilmente potente e dolce al tempo stesso. Colpa dei film, forse, dei vari Kerouac e London e Guthrie e Krakauer, dei sogni che si acquattano in qualche anfratto dell'inconscio; sono solo, in un autobus in mezzo al New England, a migliaia di chilometri da casa. Assaporo la sensazione per un po' prima di darle un nome, senso di libertà. Non c'è spazio per la nostalgia in quello che provo, c'è gioia pura, progetti e sogni che si mescolano per diventare un tiepido tutt'uno che mi stringe lo stomaco. Voglia di fare, di andare, di inseguire quell'indistinto futuro all'orizzonte, di aggredire il mondo, metterlo sottosopra e scoprire cosa si nasconde. Infinite possibilità, opportunità, vite che mi si diramano davanti; e la consapevolezza che sono io il conducente, io l'artefice, io quello che può osare. E gratitudine, per l'incredibile fortuna che ho.

America... Forse inizio a capirti meglio.

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