18 marzo 2014

Husky Nation! (Breve storia di una prima impressione)

È tempo di dedicare due righe al campus. Si trova nel ridente paesello di New Hampton, New Hampshire; in effetti è più appropriato dire che costituisce il ridente paesello di New Hampton (NH) perché, obiettivamente, non c'è molto altro oltre al campus, un paio di case private, due distributori e un Dunkin' Donuts, immancabile in ogni sconosciuta località statunitense che si rispetti. Anzi, parlando di sconosciute località: notata l'assoluta mancanza di originalità dei nomi? Girando per le strade degli US minori (e a volte anche maggiori) sembra di essere sballottati da una parte all'altra del Vecchio Continente: Florence, Berlin, Vienna, Syracuse, Athens, Paris, Rome, perfino qualche Nazareth e Betlehem. Per non parlare delle ripetizioni: lo sapevate che quasi tutti gli stati hanno almeno uno Springfield?

Okay, forse sono fuori strada. Il campus. È veramente un posto magnifico: immerso nelle colline innevate (per ora) del New Hampshire, nella regione dei laghi (uno più bello dell'altro), con una vegetazione da far invidia alla Foresta Nera. In autunno dà il meglio di sé: le foglie che imbruniscono contrastano allegramente i sempreverdi sparsi con perfezione geometrica, formando dei giochi di colore stupendi. Gli edifici, più o meno antichi e più o meno ristrutturati (e tutti funzionanti perfettamente, con forse l'unica eccezione del mio caro Ebbels) sono bassi e imponenti, di sapore vittoriano con un retrogusto di candida rusticità. E la cosa migliore è che sia gli studenti, sia i docenti sono in sintonia col clima: si respira un'aria di gioviale rilassatezza e operosità, non in senso milanese, tutto frettoloso e nervoso, ma in senso americano, di determinazione. È una delle primissime cose che ho imparato ad apprezzare qui: non importa la posizione, il lavoro, i titoli, se sei appassionato e motivato difficilmente qualcuno ti sbarrerà il passo; ogni forma di lavoro, ogni strano hobby, ogni attività è perseguibile e accettata, basta essere committed. E forse è qualcosa che dovremmo imparare anche noi, conservatori e attaccati alle differenze: non dico che negli US non ci siano, però fanno di tutto per appianarle. Questa way of life si nota anche nelle "piccole" cose come il rapporto docente-studente: rilassato! Non è raro che un professore fermi un suo alunno per i corridoi, chiedendogli com'è andata la partita di lacrosse di ieri sera, e fermandosi a scherzare insieme a lui su una disastrosa verifica di qualche tempo fa. I docenti diventano quasi degli zii, dei fratelli maggiori, che per caso sono anche i tuoi insegnanti di storia, o coach di hockey. Già, altra particolarità: ogni docente in genere ricopre almeno tre ruoli diversi, a seconda delle necessità, ora guidatore, ora allenatore, ora house parent, ora professore. Qualcuno ha anche una famiglia con bambini in campus. E fanno tutto con la stessa intensa energia, un mezzo sorriso sulle labbra mentre camminano la mattina verso la mensa.

Certo, non tutto è rose e fiori. Le boarding school sono universalmente note per essere anche un ricettacolo di figli che sono un peso per i propri genitori, e i suddetti figli generalmente si riconoscono a colpo d'occhio: ostentano indifferenza, camminano molleggiando, arrivano in ritardo e bofonchiano qualcosa all'indirizzo del professore, si stravaccano noncuranti sulle sedie in classe (suona familiare?), videogiocano spudoratamente col PC durante la lezione. Sono quelli che "io neanche ci volevo venire qui", "questo posto è noiosissimo, non succede mai niente", "andiamo a fumare di nascosto"; idea non troppo furba, visto che c'è tolleranza zero riguardo all'alcol, al fumo e alle droghe, al punto che ti buttano fuori per un accendino. Circa una settimana dopo il mio arrivo, un ragazzo del mio dormitorio ha levato le tende; aveva da tempo la reputazione di essere un tipo tutto canne e trasgressione, ed è stato espulso per il possesso di una pistola a pallini. Sì, di quelle ad aria compressa. Sarà anche stata innocua, ma penso che servisse un pretesto; del resto prima o poi doveva succedere, ha commentato un altro mio dorm mate, la pistola era solo l'ultima di una serie di infrazioni decisamente più gravi, ma non colte in flagrante. Comunque il ragazzo in questione apparteneva alla genia dei rampolli recalcitranti: figlio di un magnate orientale, con più soldi che buonsenso, spedito dall'altra parte del mondo nella speranza di un cambiamento. Peccato che in genere si ottenga l'effetto opposto.

Facciamo che rimando l'argomento illegalità/proibizionismo, che merita un approfondimento!

La scuola si propone davvero come home away from home, per quelli che sanno apprezzarla e hanno fatto la scelta di venire qui. L'atmosfera è quella di una grande famiglia, docenti compresi; un terzo dei ragazzi sono internazionali, ma non per questo si formano gruppetti distinti, c'è una piacevole mescolanza di ragazzi da tutto il mondo accomunati dallo school spirit; qualcosa che in Italia neanche ci sogniamo. Davvero, qui le cose le prendono sul serio! Se può sembrare melenso, posso assicurare che non lo è: si diventa davvero parte della Husky Nation, e la fraternità si trova ovunque. È difficile descrivere l'unità, la gioiosa forza che si percepisce anche solo assistendo a una partita della squadra principianti di hockey, per esempio, e la solidarietà quasi palpabile, e il supporto emotivo degli spettatori. Ragazzi che si sgolano, incitando i loro compagni. Quanti studenti italiani si fanno un viaggio di due ore, in uno scomodissimo scuolabus, solo per vedere la squadra di baseball della scuola in trasferta? Senza contare che neanche le abbiamo, noi, le squadre scolastiche; qui i confini tra le cosiddette "materie" e le "attività extrascolastiche" sono molto più labili, per non dire inesistenti. L'idea è che se una cosa è educativa, vale come materia. Punto. Conseguenze: le materie spaziano dalle scienze alla musica, dalla letteratura all'arte visiva, dalla storia al teatro; e gli sport pomeridiani sono parte integrante del programma scolastico. Il tutto servito da professori (/allenatori) intensamente appassionati, e capaci di trasmettere quello in cui credono agli studenti.

Sembra un'utopia, vero? E invece no, c'è qualcosa che mi atterrisce, mi annichilisce, mi fa rimpiangere amaramente la cara vecchia Italia: il cibo della mensa.

No, parliamone. Va bene che gli US sono un Paese relativamente giovane, va bene che c'è la mescolanza di culture; ma un qualsiasi europeo rabbrividisce davanti a una pasta al pollo (o, più frequentemente, spaghetti), condita con una "marinara sauce" che ricorda sospettosamente il ketchup più puro mai uscito da un McDonald's. Il tutto nello stesso piatto!, e accompagnato da un bel bicchiere di cioccolata al latte. Nessuna distinzione tra primo, secondo, contorno; i più sofisticati attaccano il dessert a metà del "secondo", per una qualche strana transizione di sapori, e sbocconcellano alternando. Giuro, ci ho provato, ho assaggiato, ma evidentemente ho un blocco mentale riguardo al cibo. Però ho trovato un'ancora di salvataggio, un faro che illumina le mie pause pranzo: i burritos (per chi non lo sapesse, involtini di carne, verdure e salse) che, per grazia del preside, sono preparati sul momento dallo studente stesso, che può scegliere cosa metterci dentro. Attribuisco a queste piccole delizie il fatto che io non sia (ancora) diventato anoressico o, più facilmente, obeso. Vada detto che la maggior parte degli studenti americani che vivono on campus stipano derrate alimentari da microonde in camera propria; il mio room mate, per esempio, evita accuratamente la mensa e tira avanti a ramen riscaldato, più qualche scatoletta. Praticamente la sua metà della stanza (e parte della mia) è occupata da scatole di Gatorade, Ramen Bombs e altri generi confezionati che non riesco a identificare. Infine i più fortunati, forse, sono i day student, ovvero gli studenti che non vivono on campus e hanno una confortevole casetta a cui ritornare per i pasti. Dico forse perché, conoscendo la cucina americana casalinga, non si è mai sicuri delle abilità culinarie di chi è ai fornelli; perché può darsi, per esempio, che anche un'amorevole madre non si faccia troppi scrupoli a riscaldare al microonde ogni singolo pasto. Non è raro come potreste pensare. Onestamente, tra tutte, non so quale sia la soluzione migliore...

E su questa cupa nota chiudo il post. Next on!

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