14 marzo 2014

Caffè e una nuova vita

11 febbraio 2014

Atterro, stanco morto. Aspetto mezz'ora al ritiro bagagli oversized del Logan per la mia chitarra, per poi scoprire che era sul nastro con le altre valigie. Sentendomi un po' rimbecillito, passo gli ultimi controlli (ultimi di una lunga serie... al controllo passaporti mi sembra di essere schedato come un criminale) e trovo un tipo burbero, barba bianca e stivaloni, con un cartello col mio nome. Aspetto insieme a lui un'altra oretta almeno per altri due internationals che non si degnano di atterrare, e ho il piacere di degustare il mio primo caffè americano full-size, pensando di averne davvero bisogno (un errore che, giuro, non ripeterò. Italiani, qualsiasi bevanda ordinate negli US, chiedetela small e non stupitevi se comunque il bicchiere è abbastanza grande da contenere un pieno di benzina). La neve fiocca dalle vetrate dell'aeroporto, risaltando contro il nero della notte inquinato dal giallastro dei lampioni.

Non appena si radunano tutti, saliamo a bordo di uno scuolabus (come quelli dei film!), tutto serigrafato con i colori della scuola, e chiacchieriamo del più e del meno per un'ora e quarantacinque minuti esatti, il tempo per arrivare a New Hampton da Boston. Sbarco verso le 11, buio pesto e freddo da non crederci; ormai vedo leggermente doppio dal sonno. L'autista mi consegna solennemente una chiave e mi lascia davanti a una casetta bianca, immersa nella neve: Ebbels House (per ora non descriverò Ebbels, penso che meriti un post tutto suo); entro, mi presento agli house parents, e faccio in tempo a scambiare due parole col mio nuovo room mate prima di crollare sul letto a castello.

12 febbraio

In barba al jetlag mi sveglio alle 8 la mattina dopo, il sole che filtra dalle tendine. Ci metto un po' a capire dove sono, il tempo di una doccia e di infilarmi nei vestiti; poi un dorm mate ha pietà della mia espressione sperduta e mi guida verso la direzione. Qui comincia il tour: nel giro di tre ore visito tutto il campus, faccio colazione e pranzo, vengo inserito nel database, messo online e provvisto di un iPad nuovo fiammante, istruito sull'uso delle tecnologie on campus, presentato a metà dei docenti (senza ricordare un singolo nome), e preparato in ogni modo possibile per iniziare il mio semestre. Da bravo italiano scelgo le materie d'obbligo, ma non resisto alla tentazione di occupare due dei miei sette blocks (ovvero classi) con, rispettivamente, recitazione e musica. Dopotutto, sono qui anche per questo! Poi mi indirizzano in infermeria dove mi spiegano pazientemente che non posso tenere medicine in camera, per rischio di furti tra gli studenti... che ci crediate o no, a qualcuno nel corso degli anni è venuto in mente di prendere delle medicine di un suo compagno di stanza, con l'intenzione di divertirsi un po'. Provo comunque a obiettare che è difficile sballarsi con le pillole per la prostata, ma non vogliono sentire ragioni, quindi torno in camera, nascondo gli antibiotici d'emergenza in fondo al cassetto meno accessibile e porto all'infermiera le medicine che ho denunciato. Ecco, questa si è poi rivelata una delle migliori idee che abbia mai avuto, perché un paio di giorni dopo mi hanno raccontato una storia grottesca di uno studente con 40 di febbre accusato di fingere e rispedito in classe. Bene, scongiurato il rischio di combustione spontanea. Moving on!

Verso l'una sono di nuovo in direzione. Mi chiedono come sto, se mi piace la scuola, se mi sto ambientando (dopo quattro ore?!), se ho bisogno di qualcosa; sto bene, solo un pochino cotto dal fuso, la scuola è stupenda, l'ambiente mi piace un sacco, dovrei essere a posto, dico; al che, mi mettono in braccio una cassa di cose utili (come un albero da scarpe) e mi rispediscono in dorm col consiglio di riposare un po'. Riesco a figurarmi come dovevo sembrare, sdraiato sul divano della sala comune: una specie di profugo, sguardo allucinato (prima di addormentarmi) e bavetta alla bocca come minimo, però ho avuto il tempo di metabolizzare il cataclisma di novità che mi si è appena presentato davanti.

Che dire?, la prima impressione che ho è che mi adatterò alla svelta. Fa tutto parte dell'esperienza: svegliarsi in un posto nuovo, senza conoscere nessuno, i ragazzi che passando ti guardano un po' sorpresi; e tu rispondi con un sorriso. Forse è troppo presto, ma comincio a pregustare la vita un po' bucolica che mi è sembrato di percepire qui intorno, i giorni regolari scanditi dalle lezioni, i pasti, le attività pomeridiane, lo svago dopo il tutto. Non si respira monotonia, ma tranquillità.

E mi addormento serenamente, pensando all'indomani.


In tutta onestà questa l'ho scattata la sera del secondo giorno, però è bellina, no?



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