7 aprile 2014

Educazione all'affettività

L'ambiente a scuola è un po' come quello di un paesino sperduto in campagna (immagine non troppo lontana dalla realtà, in effetti); più o meno tutti conoscono tutti, e nonostante la mescolanza molto forte si vengono a creare comunque dei gruppetti, mai chiusi, dettati dall'abitudine di sedersi in un certo posto in mensa oppure dal senso di fratellanza dei compagni di una qualche squadra, per esempio. Io bazzico spesso nella Family (la chiamano così), un gruppo di amici molto diversi tra di loro, accomunati da un forte affetto reciproco e dalla passione per il teatro, e tra le persone più fantasticamente genuine che io abbia incontrato finora. Entrare a fare parte della famiglia mi porta a scoprire le vite di ognuno; i ragazzi si conoscono tutti intimamente, e per una new entry come me è un sovraccarico di informazioni, storie e ricordi a cui vengo iniziato di botto.

Oggi ero seduto tra due seniors, un ragazzo e una ragazza di qui, lui regolarmente fidanzato e lei anche. Il ragazzo raccontava della sua visita alla prozia durante springbreak: lui la va a visitare e le parla dei college a cui stava pensando, e quella prima ancora di sentire i nomi gli dice lamentosamente "non andare in un college di soli maschi!". Il mio amico, stupito, gli chiede perchè, e lei risponde "perchè sennò diventi gay!" Ridiamo. Poi il ragazzo mi guarda sorridendo e dice "ero davvero tentato di dirle che mi piacciono anche i ragazzi!"

Boom. Ve lo aspettavate?

Io lo sapevo giá, e mi sono rimesso a ridere, dicendogli che avrei pagato per vedere la faccia della prozia; il suo sorriso si fa mesto, e mi dice che preferisce non dirle niente, per quieto vivere. Comunque, sua sorella, la sua ragazza e i suoi amici lo sanno, e tanto gli basta; non dice niente alla sua famiglia perché è tutto più facile, e vive serenamente, ma mi fa capire che cambierebbe ben poco anche se lo sbandierasse in giro. Interviene la ragazza, dicendo che anche lei ha detto solo a suo fratello di essere bisex. Ci metto un paio di secondi a metabolizzare questo mezzo outing, buttato fuori con sciolta naturalezza (non sapevo di lei); la guardo un po' stranito, ma già parla d'altro.

Inevitabilmente mi metto a fare i paragoni. Penso ai miei coetanei italiani che si forzano, che non si accettano quando non corrispondono alla titanica idea di "normale" (figurarsi poi per qualcosa come la sessualità); ragazzi e ragazze che si sentono sbagliati, e si tarpano le ali per poter restare a terra come gli altri. Poi butto un occhio ai ragazzi che so non essere strettamente etero (ce ne sono parecchi), seduti ai tavoli, rilassati, scherzosi, sorridenti, totalmente a loro agio.

Vi avverto, sto per partire per la tangente!

L'assenza di preconcetti vecchia scuola si sente parecchio, qui; uso la sessualità perché è l'esempio più eclatante, ma questa tolerance è (quasi) onnipresente. Razzismo, omofobia, intolleranza religiosa? È rimasto qualche rimasuglio in certi Stati del Sud, e sempre meno. L'apparente superficialità che può trasparire dagli usi americani nasconde potenti fondamenta ideologiche basate sull'accettazione e sull'unità. All'inizio ridevo del patriottismo esagerato che c'è qui, da bravo italiano disilluso, scherzavo sul loro accanirsi a ripetere che l'America sia la magica terra della libertà e dell'uguaglianza, ma ora mi rendo conto della verità dietro la bandiera. Ne hanno, di cui andare fieri; chino metaforicamente il capo. Qui inseguire il tuo sogno, se ne hai la possibilità, è una prerogativa.

Tiro le fila. Sto facendo esperienza di quella che dovrebbe essere l'intera nostra generazione, ovunque: unita, idealistica, forte, tesa al miglioramento, proiettata fiduciosamente verso un futuro migliore. Quando torno dovrò fare di nuovo i conti con un Paese che silenziosamente ti abitua all'accettare passivamente la realtà dei fatti, ad aborrire il diverso, a non provare nemmeno a deragliare dalla strada che (non) ci stanno tracciando; un Paese che ti confina mentalmente nella direzione di una vita meno eccezionale, più ordinaria. Esagero? Dal mio piccolo tutto questo lo vedo già a scuola, nei miei coetanei, nel disincanto che ci piove addosso come una doccia fredda.

Se la felicità sta nelle piccole cose, allora forse dobbiamo assicurarcele, quelle piccole cose, inseguirle instancabilmente finché non avremo migliorato almeno un pochino questo posto.

Nessun commento:

Posta un commento